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    C’era cascato di nuovo: aveva bevuto qualche goccetto di troppo la sera precedente, e ora Reginaldo dormiva appollaiato sul suo trespolo ondeggiando ad ogni respiro, come se si trovasse su una nave nel mezzo di una tempesta. Ma se sperava che l’addetto alle consegne di lasciasse impietosire dal suo evidente stato di post sbornia, purtroppo si sbagliava di grosso: senza nemmeno attendere che il gufo si fosse completamente svegliato, legò ad una delle sue zampe le tre copie del Profeta e lo lanciò fuori dalla finestra, sotto la primaverile pioggia inglese. Per fortuna di Reginaldo, l’acqua fu il migliore dei risvegli, e scuotendo la testa facendo schioccare il becco il gufo prese quota, assestando il suo volo solitamente molto incerto: era sicuro che il viaggio fino al castello sarebbe stato d’aiuto per farlo riprendere, e la fresca aria scozzese solitamente era un toccasana per la nausea che provava. Nonostante ciò, si prese il suo tempo per raggiungere il castello, riuscendo anche ad evitare di fermarsi in una locanda lungo strada dove di solito si incontrava con il suo amico Earl a bere qualche Gufobirra: l’alcool poteva aspettare.
    Giunto ad Hogwarts, ci mise qualche minuto in più del solito per individuare il dormitorio dove avrebbe dovuto fare la sua consegna: entrato dalla finestra, lasciò le copie del giornale sul pavimento, e stava per andarsene quando notò una tazza abbandonata a terra dalla quale un profumino alcolico invitante si era levato fino a raggiungere il suo becco. Incuriosito, il gufo zampettò fino a raggiungerla, e senza alcun ritegno si abbassò per assaggiarne il contenuto.
    Se le studentesse fossero rientrate poco dopo, lo avrebbero trovato ancora lì, sul pavimento, profondamente addormentato e decisamente felice nel sonno.

    Lucas Scott - 23 anni - Giornalista


    Edited by jane` - 12/4/2021, 12:26
     
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    Lucas Scott | 24 anni | Giornalista


    Edited by jane` - 30/7/2021, 15:03
     
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    Quando Aristotele vide il destinatario della consegna di quel giorno, iniziò a fischiare agitato, e provò più e più volte a prendere il volo e a scappare dal suo trespolo: purtroppo per lui, il mago che era di turno quella mattina non si sarebbe lasciato impietosire nemmeno da un neonato in lacrime, e senza troppe storie in pochi attimi lo aveva afferrato, aveva legato la copia del Profeta alla sua zampa e lo aveva lanciato fuori dalla finestra.
    Il gufo era disperato: come poteva ripresentarsi nell’ufficio del Preside di Hogwarts dopo l’incidente della consegna precedente? Aveva passato la settimana successiva al delitto in preda alla disperazione, non riposava mai, nemmeno durante il giorno, e alla fine si era concesso qualche giorno di malattia: era rientrato al lavoro timoroso di trovare una lettera di reclamo nel suo trespolo, ma non era comparsa nessuna pergamena, nemmeno nelle settimane successive. Per precauzione aveva richiesto di limitare le sue consegne alla zona della Londra Magica, ma sembrava che qualcuno avesse messo la parola fine a ciò che gli era stato concesso: sofferente e preoccupato, Aristotele iniziò a prendere in considerazione delle opzioni alternative, lo sguardo fisso sul terreno che scorreva veloce sotto di sé.
    Poteva fingere un attacco da parte di un vecchio mago impazzito, come era successo mesi prima al suo amico Demetrio? No, troppo complesso, avrebbe dovuto farsi davvero male. Magari poteva fingere di aver effettuato la consegna e abbandonare il giornale nella stanza errata: ma poi le lamentele da parte dell’abbonato sarebbero sicuramente arrivate sulla scrivania del Direttore.
    Non aveva scelta: doveva trasferirsi in Groenlandia, cambiare nome e sparire per sempre dalla circolazione.
    Per sua fortuna, quando alzò lo sguardo per cambiare direzione, si accorse di essere già arrivato nei pressi di Hogwarts, per la precisione già nei pressi della Torre del Preside: intimorito, lanciò un’occhiata fugace dalla finestra all’interno della stanza, assicurandosi che non ci fosse nessuno. Ora o la Groenlandia.
    Chiuse gli occhi e lanciò la copia della Gazzetta in direzione della scrivania, per poi voltarsi senza guardare se effettivamente la consegna fosse andata a buon termine.


    Lucas Scott - 23 anni - Giornalista
    PS: 279/279 - PC: 213/213 - PM: 256/256 - PEXP: 50.5
    Abilità & Conoscenze

    Abilità
    Animagus, Lupo

    Vocazione
    Occlumante Apprendista

    Incantesimi Innati
    Lapsus, Florikus, Ardesco, Oppugno, Vitreo, Brillium, Vermillius, Veronesi, Flamora, Waddiwasi

    Incantesimi Conosciuti
    I classe, II classe, III classe, IV classe, V classe (complete), VI classe (Homenum Revelio, Illudo Camaleontide, Incarceramus, Specialis Revelio, Repello)

    Incantesimi Oscuri
    Segreto Ombrae, Fyindfire, Sectumsempra, Lamento Frango, Crucio, Sicamen

    Dettagli Statistiche

    Punti Salute
    punti base + 5 studentessa anziana + 6 quest + 10 Medimago + 5 oggetti + 7 Top200 + 2 libri + 1 Calendario Avvento 2020

    Punti Corpo
    punti base + 5 studentessa anziana + 6 quest + 10 Medimago + 3 oggetti + 2 libri + 1 Calendario Avvento 2020

    Punti Mana
    punti base + 5 studentessa anziana + 6 quest + 10 Medimago + 15 libri + 2 oggetti + 1 Calendario Avvento

    Punti Esperienza
    punti base + 4.5 quest + 2 Medimago + 0.5 Top200 + 0.5 Calendario Avvento
    Inventario

    Bacchetta
    13 Pollici, legno di Elce, crine di unicorno e goccia di rugiada

    Nome Oggetto
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    Quando Aristotele vide il destinatario della consegna di quel giorno, iniziò a fischiare agitato, e provò più e più volte a prendere il volo e a scappare dal suo trespolo: purtroppo per lui, il mago che era di turno quella mattina non si sarebbe lasciato impietosire nemmeno da un neonato in lacrime, e senza troppe storie in pochi attimi lo aveva afferrato, aveva legato la copia del Profeta alla sua zampa e lo aveva lanciato fuori dalla finestra.
    Il gufo era disperato: come poteva ripresentarsi nell’ufficio del Preside di Hogwarts dopo l’incidente della consegna precedente? Aveva passato la settimana successiva al delitto in preda alla disperazione, non riposava mai, nemmeno durante il giorno, e alla fine si era concesso qualche giorno di malattia: era rientrato al lavoro timoroso di trovare una lettera di reclamo nel suo trespolo, ma non era comparsa nessuna pergamena, nemmeno nelle settimane successive. Per precauzione aveva richiesto di limitare le sue consegne alla zona della Londra Magica, ma sembrava che qualcuno avesse messo la parola fine a ciò che gli era stato concesso: sofferente e preoccupato, Aristotele iniziò a prendere in considerazione delle opzioni alternative, lo sguardo fisso sul terreno che scorreva veloce sotto di sé.
    Poteva fingere un attacco da parte di un vecchio mago impazzito, come era successo mesi prima al suo amico Demetrio? No, troppo complesso, avrebbe dovuto farsi davvero male. Magari poteva fingere di aver effettuato la consegna e abbandonare il giornale nella stanza errata: ma poi le lamentele da parte dell’abbonato sarebbero sicuramente arrivate sulla scrivania del Direttore.
    Non aveva scelta: doveva trasferirsi in Groenlandia, cambiare nome e sparire per sempre dalla circolazione.
    Per sua fortuna, quando alzò lo sguardo per cambiare direzione, si accorse di essere già arrivato nei pressi di Hogwarts, per la precisione già nei pressi della Torre del Preside: intimorito, lanciò un’occhiata fugace dalla finestra all’interno della stanza, assicurandosi che non ci fosse nessuno. Ora o la Groenlandia.
    Chiuse gli occhi e lanciò la copia della Gazzetta in direzione della scrivania, per poi voltarsi senza guardare se effettivamente la consegna fosse andata a buon termine.
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    La casa di Jane, immersa nel tranquillo quartiere di Notting Hill, aveva abbandonato lo sguardo perso del mago da diversi minuti quando con un secco crack si era smaterializzato. Il suo corpo era quindi riapparso in un quartiere periferico della capitale e da lì aveva preso a camminare senza un meta precisa, perso nei propri pensieri. Dopo un tempo indefinito, aveva varcato la soglia di un pub babbano, imprecando a denti stretti quando si era reso conto della cosa - e bastava una semplice occhiata agli alcolici impilati dietro al bancone - perché voleva qualcosa di magico e forte. Ormai era lì e decise di sfruttare la banconota di valuta babbana che aveva trovato (nella tasca del giubbino di un tizio su cui era accidentalmente gravitato addosso); con ogni probabilità, oltre che rivelarsi inutile, se il barista avesse visto un Galeone avrebbe pensato che Lucien volesse rifilargli un pezzo della versione più trash del Monopoly. Con la refurtiva ordinò un drink babbano un cheeseburger. Doveva recuperare le energie perse.
    Divorò il panino con lo stesso impegno di un biafra e nel mentre lasciò scivolare in gola il mix di cognac ed assenzio del Sazerac. Su una scatola rettangolare scorrevano immagini di babbani che prendevano a calci una palla e i presenti, stipati nel piccolo pub come sardine sott'olio alcol, si immolavano in grida e schiamazzi non troppo dissimili da quelli che animavano il pubblico di una partita di Quidditch. A quel punto, si disse Lucien, urgeva fumare, ma per ovvi motivi non avrebbe acceso la sua creazione nel modo abituale con cui era solito fare, ossia usando la bacchetta. All'occorrenza capace di integrarsi abbastanza bene nel mondo babbano grazie all'infanzia trascorsa a Durness e le successive vacanze negli anni a Hogwarts, il francese zigzagando tra i fans di calcio esultanti raggiunse uno dei tavoli d'angolo e si rivolse al primo essere umano su cui posò lo sguardo.
    «Hai da accendere?»
    L'orientale, impegnato a tracannare un generoso boccale di birra, avrebbe potuto avere con sé uno di quei piccoli arnesi con cui i babbani attestavano la propria dipendenza da nicotina o oppiacei.
    Lucien Cravenmoore
     
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    ho gonfiato mio zio
    Il Magonò Robin Rick sotto accusa
    Il proposito di non toccare nemmeno un goccio di alcol durante il mese di gennaio era stato particolarmente difficile da mantenere, eppure ce l’aveva fatta: Reginaldo aveva festeggiato il primo febbraio tra gli applausi del circolo ed era tornato al suo trespolo tutto contento. Eppure, febbraio era un altro mese… e uno strano cestino di vimini a forma di cuore, dipinto di rosso, lo stava attendendo tra la paglia alla base del suo nido. Lo aveva osservato curioso per qualche istante, cercando un biglietto, ma non appena aveva individuato il contenuto aveva lasciato perdere la sua ricerca ed era passato alla fase scartare i regali ricevuti. Una bottiglia del migliore spumante gufico svettava tra i fogli di velina rosa confetto, insieme ad una selezione speciale di confetti alcolici e quelle che apparivano in tutto e per tutto ad alcune bottiglie delle creazioni alcoliche di Chef Gautier per il recente evento al San Mungo. Ma chi mai aveva potuto fare un regalo così meraviglioso a Reginaldo? Doveva scoprirlo… Sfortunatamente, prima di iniziare le indagini aveva deciso di stappare lo spumante – giusto per continuare i festeggiamenti – e fu così che le grida della nuova stagista la mattina seguente furono la sua sveglia. Erroneamente aveva pensato che il gufo avesse lasciato le penne in seguito ad un assaggio troppo consistente, ma in realtà era tutto perfettamente nella norma: senza tanti complimenti il responsabile della guferia, accorso per vedere cosa fosse accaduto, aveva legato tre copie del giornale alla zampa di Reginaldo e lo aveva accompagnato fuori dalla finestra. Il viaggio verso il castello fu come un terribile sogno, e sbaglio ben due volte il dormitorio prima di trovare la finestra giusta. Esausto per il lungo viaggio, ma soprattutto con i postumi dalla sera prima, Reginaldo crollò su uno dei soffici letti all’interno della stanza. Lo avrebbero trovato addormentato profondamente su uno dei cuscini, le tre copie del giornale ancora legate alla sua zampa.
     
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    Ancora non ci credeva, l’aveva fatto sul serio. Avvertiva ogni battito del cuore sbattere dolorosamente contro lo sterno, in sincronia con i suoi passi mentre l’ascensore del Ministero scendeva nelle profondità della capitale londinese. Stava davvero lasciando il suo lavoro al San Mungo? O, per lo meno, ci stava veramente provando? Ogni volta che ripensava all’ospedale, al candore immacolato delle piastrelle che ricoprivano il pavimento, all’odore acre del disinfettante, sentiva una morsa stringerle lo stomaco e diffondersi sulle braccia, sulle spalle, lungo la schiena e serrarle la mascella. Il ricordo era pronto a corroderle la mente, e se non si dava una mossa a correre ai ripari rischiava di annegare nel buio dei sensi di colpa. Fece un respiro profondo, cercando di spezzare la tensione, sciogliendo le mani dell’intreccio tenace con cui si erano avvolte intorno ad un capo della sciarpa che indossava sopra il cappotto scuro. Stava facendo la scelta giusta, non restava che convincere gli altri. E, in fondo, anche sé stessa.
    Arrivò nell’ufficio del Direttore con appena due minuti di anticipo, l’occhiata indagatrice dell’affascinante segreteria le scivolò addosso mentre attendeva di varcare la soglia della stanza, i respiri profondi e misurati per cercare di contenere l’ansia che aveva iniziato a crescere sempre più mentre si avvicinava il momento vero e proprio del colloquio. Erano passati quasi sette anni dall’ultima volta che aveva fatto un colloquio di lavoro, e la Jane dell’epoca, neodiplomata, sembrava essere rimasta ancorata in un angolo della sua anima: le sue insicurezze, le sue speranze, la voglia di poter effettivamente fare qualcosa e aiutare gli altri… quanto era ingenua. Il San Mungo l’aveva accolta come una madre amorevole ed era stato semplice ambientarsi tra le sue mura, assorbire gli insegnamenti dei colleghi più anziani come una pianta innaffiata di giorno in giorno, mettersi alla prova davanti alle difficoltà. Aveva continuato a studiare anche se ormai gli studi erano conclusi, e la brama di conoscenza aveva continuato ad ardere nel suo petto. Nonostante quello che era successo, nonostante si fosse scottata, quel fuoco era ancora lì e l’aveva guidata passo dopo passo verso l’Ufficio Misteri e l’applicazione all’offerta di lavoro. Sarebbe stato sufficiente per farglielo ottenere?

    Ringraziò con un lieve sorriso la segretaria, sforzandosi di apparire gentile nonostante avesse avvertito tutto il peso dei suoi giudizi silenziosi mentre questa se ne andava, poi si voltò in direzione del Direttore, il primo di innumerevoli esami pronto ad iniziare. « Buongiorno, direttore. » I suoi occhi si scontrarono con il ghiaccio dello sguardo del mago, un brivido pronto a scendere lungo la sua schiena mentre le guance si tingevano di un pallido color orchidea, una reazione così tipica di Jane che negli anni non era mai riuscita a controllare. Notò di sfuggita il plico di fogli sulla scrivania dell’uomo, e si chiese quanto del suo passato avesse sporcato le pergamene d’inchiostro. Cosa sapevano del suo passato e soprattutto se avrebbero voluto sapere altro.
    Ascoltò il discorso introduttivo di Von Vukich senza battere ciglio, il volto concentrato sulle sue parole, la schiena dritta: non apparire intimidita davanti al suo possibile futuro datore di lavoro sembrava una buona idea, anche se secondo dopo secondo, ascoltandolo, si rese conto che non aveva paura. Comprese, invece: le leggende sull’Ufficio Misteri erano il fulcro delle parole sussurrate quando si trattava del Ministero della Magia, e sapeva che molti maghi e streghe sarebbero stati in grado di compiere i crimini peggiori pur di riuscire a camminare tra i corridoi di quegli uffici per poter anche solo ammirare di sfuggita un frammento dei loro segreti. La riservatezza era il fulcro di tutto: all’Ufficio Misteri… come al San Mungo. La differenza principale dall’ospedale però risiedeva in un utilizzo meno sconsiderato della Veritaserum, e quella forse era l’unica nota stonata nel concerto intimidatorio del mago. Decise di non pensarci, non in quel momento. « E’ stato cristallino. » Avvertiva la gola secca per l’ansia, ma si sforzò di deglutire a fatica prima di riprendere a parlare. « Come avrà letto dai miei documenti, fino a qualche settimana fa ero un Medimago in carico al San Mungo. Il segreto professionale ha un valore inestimabile, anche tra quelle mura. » Aveva parlato ancora prima di rendersi conto delle parole che stava utilizzando. Aveva osato troppo, forse? Per quanto ci tenesse ad ottenere quel lavoro, voleva dimostrare di conoscere bene il significato di segretezza e silenzio. Le ultime ore al San Mungo, del resto, rappresentavano alla perfezione quella regola. Ma a Draco Von Vukich non sembrava interessare ancora, per sua fortuna.

    Una nuova domanda, una nuova prova: all’apparenza così semplice, nel profondo forse più complessa per Jane di quanto un esterno si sarebbe aspettato. Perché era lì? Cosa l’aveva spinta a compilare quella domanda d’assunzione? Fece un respiro profondo, cercando di riordinare i pensieri e le parole che si agitavano inquieti nella sua mente, pronti a sgomitare per prendere vita e voce, sfuggendo dalle sue labbra. « Le domande. » Quindici secondi di silenzio sotto lo sguardo glaciale del mago. Le sembrarono durare un’ora, ma se li concesse senza timori. Non poteva sbagliare nemmeno la più insignificante virgola nelle sue parole, ne era consapevole. « Ecco cosa mi ha spinta a fare richiesta di assunzione qui, all’Ufficio Misteri. Ecco chi mi ha condotta nel suo ufficio. Le domande. Innumerevoli, sibilline, misteriose e affascinanti. A volte mi sembrano così simili al canto di una sirena… » E la sua curiosità era il marinaio pronto a schiantarsi tra gli scogli in risposta a quel richiamo. Sarebbe morta? O avrebbe utilizzato l’ingegno e come un Ulisse moderno sarebbe sopravvissuta a quell’incontro? « E sento che questo è il posto giusto per ottenere le risposte. Non per me, ma per gli altri. Per il Mondo Magico. Voglio poter contribuire, ancora. Al San Mungo ho aiutato in maniera visibile, davanti agli occhi di tutti, ma ho scoperto che… si può fare di più, anche lontani dalla luce del sole. » Un’altra piccola pausa interruppe il suo discorso, ancora un respiro profondo che cercava di alleviare il dolore della tensione. « Sono sempre stata un’alunna diligente, ad Hogwarts. Non mi spaventano gli orari di lavoro, e non ho alcun timore a mettere a disposizione il mio tempo… » La mia anima, la mia coscienza… « … i miei giorni a questo ufficio. E’ sufficiente come spiegazione? »

    Non le fu chiaro se la sua risposta avesse soddisfatto il mago, ma non ebbe il modo di capirlo realmente: senza perdere nemmeno una manciata dei preziosi secondi del suo tempo, il direttore dell’Ufficio Misteri passò alla prova successiva. Una nuova domanda, un primo passo per indagare realmente le sue conoscenze. L’Alchimia. Sotto il cappotto che ancora indossava Jane sentì la pelle diventare fredda mentre Von Vukich sciorinava senza difficoltà parole in latino, ma le fu necessario captare le prime per capire che poteva farcela. Non era una materia necessaria per lavorare al San Mungo, ma il richiamo di quell’arte così intrisa di misteri era stata troppo forte ai tempi di Hogwarts per non cedervi. « Paracelso. O meglio, Paracelsus. Famoso alchimista… e medico. Al San Mungo, quando insegnano a visitare i pazienti per la prima volta, il suo nome risuona tra le stanze. E’ grazie a lui che prima di fare qualsiasi scelta, prima ancora di agire, i Medimaghi guardano il paziente. Ma non è per questo che il suo nome si è distinto maggiormente, vero? » Sentì il cuore accelerare, il debole timore di aver iniziato a parlare troppo e di sprecare tempo e pazienza di Von Vukich pronto ad agitarla. « La citazione parla di veleno. E’ errato etichettare una sostanza come imprescindibilmente velenosa, perché è la dose, non la sua natura in sé, a renderla tale e a spostare l’ago della bilancia sul risultato della sua assunzione o del suo utilizzo. »

    Il silenzio scese nuovamente sulle due figure, lo sguardo glaciale del mago fisso e inesplorabile: era impossibile per lei riuscire a capire come stesse andando, e se in parte questo la preoccupava, sapeva che in fondo era solo un altro modo per testarla. Non doveva cedere, non in quel momento, perché immaginava che riuscire a superare la selezione per un incarico così importante, avvolto nel mistero, non poteva ridursi a poche semplici domande. Quasi a conferma delle sue teorie, il direttore le fece strada fuori dal suo ufficio: respirava con attenzione mentre seguiva l’uomo, la sua attenzione totalmente focalizzata sul battito del suo cuore, la curiosità tenuta per le redini a fatica mentre sentiva il richiamo di guardarsi intorno. Voleva ammirare i segreti dell’Ufficio Misteri, voleva dissetare il suo bisogno di conoscenza. Ma non era il momento giusto per abbandonarsi ai desideri.
    La stanza dove entrarono poco dopo era immersa nel buio: i riflessi cerulei emanati da un’effige sopra di loro l’unica fonte di luce. Alzò lo sguardo, ammirandola per alcuni istanti prima che l’uomo riprendesse parola e spostasse la sua attenzione sulla ciotola che era stata posta davanti a lei. Granelli trasparenti. Elementi. Il suo cuore perse un battito. Ancora alchimia?
    Si avvicinò alla ciotola, osservandone il contenuto con più attenzione, trattenendosi dall’allungare la mano ed immergerla tra i cubi irregolari senza colore. Il principio di un sospetto si fece largo nella sua mente, la ragione pronta a lottare contro l’istinto e a salvarla dalle scelte azzardate. Ma se non avesse rischiato in quel momento, si sarebbe pentita, la certezza di non aver dimostrato quanto davvero volesse quel lavoro. E ora di chiudere gli occhi e lanciarsi nel vuoto. « Sale. Insieme a zolfo e mercurio, la cosiddetta Tria Prima secondo Paracelso. » La sua voce era sottile ma sicura, senza il minimo accenno di incertezze: era consapevole che al minimo tentennamento sarebbe stata fuori. « Il Sale rappresenta il corpo. Unito allo spirito, il Mercurio… » Una piccola pausa: la strega alzò nuovamente lo sguardo sull’effige, osservando con più attenzione i due pesci, immobili. « Serve lo Zolfo, l’anima, per unire corpo e spirito a formare un’entità unica. Ma non basta. » Le sue parole sembravano vuote mentre ragionava ad alta voce, mentre la mente cercava di far riemergere dagli anfratti più nascosti le nozioni di alchimia. Torna ad osservare di nuovo il sale davanti a sé, riabbassando lo sguardo. « Il corpo, la terra, non brucia: lo spirito è acqua. E se uniti con la giusta attenzione, creano materia. Vita. » Estrasse lentamente la bacchetta dalla tasca, puntandola sulla ciotola. « Aguamenti. » Riempì parzialmente il contenitore di acqua, facendo attenzione a non esagerare. « Ma senza anima, non c’è nulla. Il processo non è completo. Nigredo, Albedo… e infine Rubedo. » Serviva il fuoco. Lo zolfo. L’anima. « Incendio! » La bacchetta venne nuovamente puntata sulla ciotola, nella mente di Jane l’immagine delle lingue di fuoco che avrebbero dovuto prendere vita: ed era la vita che cercava. Il risultato finale. Avrebbe funzionato? I pesci, avrebbero ricominciato a nuotare o sarebbero rimasti immobili, pronti a schernirla per i suoi fallimenti?

     
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    “Non so cosa posso sembrare al mondo; ma a me stesso sembra di essere stato come un ragazzo che gioca sulla riva del mare e si diverte a trovare di quando in quando un ciottolo più liscio o una conchiglia più bella, mentre il grande oceano della verità di stende ignoto tutt’intorno.”
    Isaac Newton


    Adattarsi ad una nuova quotidianità non era stato per niente semplice: aveva sospettato che fuggire dal San Mungo non sarebbe stata la soluzione a tutti i suoi problemi, eppure nel fondo del suo animo così apparentemente fragile negli ultimi mesi aveva sperato che la novità dell’incarico e la costante sfida con l’ignoto l’avrebbero catturata e protetta dai pensieri pesanti come macigni. Ne era stata pienamente convinta, eppure le convinzioni non sempre sono sufficienti per ottenere i risultati tanto desiderati.
    A testa china sulla scrivania che occupava da poche settimane, stava cercando di trovare un senso tra le pagine del tomo di Alchimia che da alcuni giorni riempiva ogni suo istante di tempo libero da compiti specifici, mentre una tazza ricolma di tè bollente accanto ad un plico di pergamene lasciava scivolare via il suo calore in leggeri sbuffi di fumo. L’attenzione dell’ex corvonero però venne presto catturata da voci concitate che si stavano raggruppando poco distanti, e dopo aver chiuso di scatto il libro che stava consultando e bevuto al volo un sorso di tè – rischiando di ustionarsi il palato – si affrettò a raggiungere il resto dei colleghi.
    Gli Indicibili si erano radunati davanti ad una porta blu notte a cui ammetteva di non aver fatto mai particolarmente caso in quel breve lasso di tempo che aveva trascorso nell’Ufficio Misteri, e prima ancora di notare la pergamena appesa al legno cilestrino, una figura fin troppo conosciuta le provocò una dolorosa stretta allo stomaco. Il Fato quell’anno sembrava deciso a metterle i bastoni tra le ruote, e nonostante gli sgambetti con cui le aveva fatto iniziare l’anno pareva ormai avere come obiettivo farla cadere rovinosamente davanti a tutti. Perché in fondo, lavorare con Lucien non poteva che essere un pessimo scherzo del destino.
    Si sforzò di lasciar scivolare lo sguardo dalla figura del francese alla pergamena infissa sulla porta, concentrando ogni singolo circuito neuronale nella lettura.
    La stanza dello Spazio.
    Lo stomaco di Jane si contrasse nuovamente davanti alla sfida che prendeva forma davanti ai suoi occhi, l’adrenalina pronta a scorrere lungo la sua schiena mentre il buonsenso la frenava e le ricordava che si trovava, dopotutto, tra le mura dell’Ufficio Misteri. Un solo semplice passo falso avrebbe potuto costarle più di quanto immaginasse.

    Spalancò gli occhi per la sorpresa non appena la porta concesse loro l’ingresso nella stanza preannunciata, le pupille pronte a restringersi momentaneamente davanti al bagliore perlaceo che investì Jane e i suoi colleghi. Fu necessario qualche istante per far sedimentare nella propria coscienza la vista che si aprì davanti a lei, e aveva mosso i primi passi incerti nel terreno brullo e polveroso prima di rendersi conto di ciò che stava realmente vedendo. La Luna. La riproduzione del satellite celeste era talmente vivida e realistica che si stupì di riuscire a mantenere i piedi ben saldi sul terreno senza alcuna difficoltà e la quasi totale assenza di colore scatenò per un frammento di secondo una nauseante sensazione di disorientamento. Chiuse momentaneamente gli occhi, e dopo non essersi preoccupata di osservare i colleghi – una mossa tanto azzardata quanto ingenua, vista l’inesperienza – riprese a camminare in direzione dell’orizzonte.
    Per lo meno, quelle erano le sue intenzioni, ma dopo pochi passi un colpo improvviso a livello dell’osso frontale fermò la sua passeggiata al bagliore di luna, alterando i lineamenti del volto in una smorfia dolorante: come inizio, non era certo dei migliori. La mano sinistra scattò a premere il punto dolente, strofinandolo e scompigliando i capelli, mentre trattenendo un’imprecazione la ragazza socchiuse gli occhi e iniziò a guardarsi intorno alla ricerca dell’oggetto che si era scontrato senza alcuna delicatezza contro il suo cranio. Furono necessari pochi istanti per individuare il colpevole: una mela. Guardò il frutto aperto a metà, sorpresa dal dolore che era stato in grado di creare. Fu allora che lo notò.

    Occhi spalancati, quasi spiritati e circondati da ombre cineree in un volto pallido come la morte: una parrucca posata in maniera frettolosa sul capo, sbilenca e con le onde spiegazzate, i ciuffi ormai quasi dotati di vita propria. La veste che indossava probabilmente aveva vissuto giorni migliori, e se non fosse appartenuta a qualcuno che appariva tutto fuorché tangibile, era certa che avrebbe notato macchie di inchiostro, o di vino. Non riconobbe l’uomo che aleggiava davanti a lei, e una domanda le sfuggì dalle labbra ancora prima di potersi fermare. « Chi siete? »

    Se Orlando perse il senno sulla Luna, escludereste la possibilità che il satellite ne custodisca molti altri?

    Forse Jane avrebbe trovato anche il suo di senno, tra una roccia e l’altra che caratterizzava il paesaggio intorno a lei. Era evidente che l’uomo non fosse intenzionato a risponderle o chissà, forse non poteva. Ciononostante, sentiva la sua coscienza ridere sommessamente, come se avesse già fatto il suo primo passo falso dopo nemmeno dieci minuti. Quanto a lungo avrebbe retto all’interno dell’Ufficio Misteri?
    Costringendosi ad allontanare dalla mente la temibile immagine del suo rigido capo tedesco pronto a sbatterla fuori dal Ministero, focalizzò la sua attenzione sull’uomo davanti a sé. Chi poteva essere? E perché sembrava essere uscito da una… mela?

    « Bambini! Rimanete in fila, e prestate attenzione! »
    Le calze della divisa quel giorno le davano più fastidio del solito: non sapeva se fosse dovuto al tepore estivo che faceva capolino nella capitale inglese, o ad un cambio di detersivo da parte di sua madre. Aveva passato buona parte del viaggio nel pulmino a grattarsi il retro delle ginocchia, tanto da far comparire evidenti strie rossastre sulla pelle nivea. Richard non aveva perso un istante e appena scesi aveva iniziato a prenderla in giro, tirandole le trecce in cui erano legati i lunghi capelli castani e sciogliendo uno dei due nastri amaranto – in tinta con la divisa – appesi in fondo all’intreccio. Era poco più avanti di lei, e lo vedeva agitare tutto soddisfatto la striscia di raso, ridendo con i suoi amici. Tuttavia, non appena avevano varcato la soglia dell’abbazia di Westminster l’abbraccio gelido della cattedrale aveva fatto sparire anche il minimo accenno di sorriso dal volto di Richard, mutato in un’espressione seria come quello del resto della classe.
    « Allora, chi sa dirmi il nome di questo famoso scienziato che è sepolto qui davanti a noi? » La voce di Miss White era quasi un sussurro, ma l’acustica del luogo permetteva di udire perfettamente la sua domanda. « Forza, so che lo sapete… Il prossimo settembre cambierete scuola, non vorrete mica farmi fare una brutta figura? Dai, vi do un aiutino… Se vi dico mela, vi viene in mente qualcosa? »


    Jane aveva dieci anni, ed era in gita con i compagni di classe e la sua insegnante, quando ancora viveva tra i Babbani: al solo ricordo di quel giorno, sentiva ancora prudere la cute delle ginocchia, ma non era quella la parte del ricordo su cui doveva focalizzarsi.

    « Siete Isaac Newton. »

    Non più una domanda, ma un’affermazione. Tuttavia, Jane avrebbe avuto il presentimento di non doversi aspettare nemmeno un cenno d’assenso da quella figura spettrale. E se ben ricordava, non era la conversazione l’aspetto più importante del suo incarico. Le parole del vicedirettore Hicox erano ben impresse nella pergamena, cristalline nelle loro indicazioni.
    Valutare la matrice della dissennatezza di Newton e comprenderne l’origine, valutando una possibile interferenza magica.
    Tanto chiaro quanto fumoso. Come avrebbe potuto capire anche solo una delle sfumature di Newton senza parlarci direttamente? Avrebbe lanciato un’altra occhiata al mago, osservandolo incuriosita. Era stato uno dei più grandi scienziati del suo tempo, di tutta l’Inghilterra: un genio sin dalla tenera età, un maestro della matematica, della fisica e di innumerevoli altre scienze. Come ogni mente straordinaria, spesso aveva lottato contro sé stesso e contro gli altri, e la paranoia aveva trovato posto nel suo animo prodigioso con l’avanzare degli anni e del successo. Si poteva dunque dire che avesse davvero perso il senno? O erano altre le cause della sua pazzia?

    « …era un vero e proprio genio, sapete? Pensate solo cosa avrebbe potuto scoprire, se fosse vissuto ai giorni nostri! Sarebbe vissuto meglio, e soprattutto in salute. Infatti, dovete sapere che nei suoi capelli è stata trovata una grande concentrazione di mercurio, una sostanza che studierete quando sarete più grandi: vi basti sapere che è altamente tossico per l’essere umano. »

    Poteva essere davvero il mercurio la causa di tutto? Le sembrava così semplice, troppo troppo banale poter basare le sue teorie sui ricordi fumosi di un’insegnante straordinaria dei tempi delle elementari. Sbuffò, sconcertata dalla propria inettitudine, e abbassò lo sguardo mortificata. Non era in grado di svolgere nemmeno la sua prima missione all’Ufficio Misteri… come sarebbe potuta resistere ancora a lungo?
    Il frutto causa del lieve mal di testa – ormai suo inseparabile compagno dal momento dell’impatto – giaceva a terra, spaccato a metà. Piegate le ginocchia, avrebbe allungato poi le mani ad afferrare la mela, incuriosita: avrebbe stretto le due sezioni una per mano senza indugi, certa che non potesse accaderle nulla dato che il danno maggiore sembrava ormai essere stato fatto. Se il frutto fosse stato incantato, il suo effetto non avrebbe dovuto essere già comparso?
    Avvicinate le due metà al volto, avrebbe analizzato con cura il colore della polpa, notando una variazione cromatica troppo particolare per essere scambiata come semplice ossidazione: anzi, si poteva dire che virava verso un pallidissimo violetto. Incuriosita, avrebbe alzato lo sguardo di nuovo verso lo scienziato, che continuava a fissarla con insistenza. « Ditemi… non è che mangiate abitualmente le mele, vero? » Non si sarebbe aspettata grandi risposte, magari solo un accenno, ma tanto le sarebbe bastato.
    Avrebbe estratto quindi la bacchetta dopo aver posato le due metà della mela a terra, mentre il germoglio di un’idea iniziava a crescere nella sua mente. Durante gli anni di lavoro al San Mungo le erano capitati numerosi casi di avvelenamento, e aveva imparato a distinguere i veleni più pericolosi tra un caso particolarmente difficile e una serata di studio. Voleva capire se quello che aveva immaginato potesse essere concreto o se rappresentasse l’ennesimo abbaglio.

    Puntata la bacchetta sul frutto, avrebbe pronunciato con sicurezza la formula prescelto mentre la sua attenzione era tutta dedicata allo scopo di quell’incanto. « Revelio! »
    Se l’incantesimo fosse andato a buon fine, e le sue intenzioni si fossero rivelate corrette, la polpa pallida del frutto avrebbe virato verso una sfumatura di viola più intenso: avrebbe quindi allungato la mano libera dal catalizzatore per sollevare una delle due metà del frutto, avvicinandola con circospezione al naso. Una leggera aspirazione, veloce, volta a cercare una risposta alle sue domande ma abbastanza celere dall’evitare spiacevoli conseguenze. Se avesse avvertito un odore aspro e nauseabondo, la strega avrebbe trovato conferma alle sue supposizioni.

    « Il genio comporta tante gioie quanti dolori, vero? » Avrebbe tenuto in mano il frutto, rialzandosi in piedi e fissando lo scienziato mentre parlava. « Premi, riconoscimenti, la gente vi ha amato, ammirato… e anche invidiato. » Avrebbe allungato la mano con la mela spezzata verso la figura eterea, mostrandogliela. « Vi hanno diagnosticato un esaurimento nervoso, hanno detto che eravate impazzito a causa del mercurio utilizzato per i vostri esperimenti. Una bugia dietro l’altra per nascondere la verità. L’albero da cui coglievate le mele, quello che immagino fosse il vostro preferito nel giardino, era stato avvelenato. Qualcuno deve aver versato una pozione di belladonna tra le sue radici e contaminato i frutti. Siete stato tradito da chi non ha saputo riconoscere la vostra straordinaria mente. »
    Avrebbe mantenuto lo sguardo fisso sul volto dell’uomo, pronta ad individuare la minima variazione in quegli occhi spalancati che gli avevano permesso di scoprire gli innumerevoli segreti del mondo. Come avrebbe reagito, davanti a quella possibile verità?


    "La natura e le leggi della natura giacevano nascoste nella notte;
    Dio disse: «Che Newton sia!», e luce fu."
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    Isaac Newton


    Il dolore alla testa non l’aveva abbandonata nemmeno per un istante dopo l’impatto con il frutto, ed era stato un compagno doloroso che ricordava la sua presenza con un costante mormorio in sottofondo mentre la neo Indicibile tentava di risolvere in qualche modo la sfida che aveva davanti a sé.
    Isaac Newton la continuava a fissare con quello sguardo spiritato, la parrucca talmente storta che se non fosse stato inconsistente Jane avrebbe provato a raddrizzare con un gesto delicato della mano.
    Guardò con attenzione lo scienziato, la mano ancora allungata in sua direzione a mostrargli il frutto alterato dalla belladonna, pronta a cercare anche il minimo segno di comprensione delle sue parole. La verità è spesso un medicinale troppo amaro da riuscire ad essere assunto senza sforzi, ma come il migliore dei farmaci dopo una breve sofferenza è in grado di suscitare sollievo dal dolore. Era così che si sentiva Newton, quindi? Cosa significava per lui scoprire l’inganno che aveva macchiato la sua fama negli ultimi anni, rovinando amicizie importanti con lettere scritte in preda agli effetti del veleno?
    « Come posso aiutarvi? » l’ex medimago sussurrò timidamente la domanda, guardando negli occhi lo scienziato. Avvertiva il suo dolore, in un certo senso le sembrava di cogliere un barlume di accettazione verso la verità che la strega gli ha rivelato, ma Jane sentiva che non aveva ancora fatto abbastanza per lui. Il vicedirettore Hicox era stato cristallino nell’assegnare loro il compito, indicando come obiettivo la ricerca dalla matrice della dissennatezza delle entità. Eppure, la strega avvertiva una specie di sussurro, una voce sottile che le chiedeva se fosse disposta a fare di più. Ma cosa?

    Tuttavia, non ebbe il tempo di trovare una risposta all’ennesimo dei suoi quesiti, perché Isaac Newton improvvisamente distolse l’attenzione dalla giovane Indicibile, voltandosi verso un punto che sembrava non avere alcuna nota distintiva. Spaesata, Jane si guardò intorno, e fu solo allora che notò il resto dei suoi colleghi in compagnia di altre entità, anch’esse intente ad osservare il medesimo orizzonte dello scienziato. Mentre tornava a volgere lo sguardo su Newton, una brezza leggera prese forma dal nulla, scompigliandole i capelli sottili e facendola rabbrividire sotto il maglione leggero che le avvolge il busto. Incuriosita dal fenomeno atmosferico che si era improvvisamente manifestato, non riuscì a trattenere un’esclamazione di pura e genuina sorpresa quando alle sue orecchie giunse l’eco di una voce. Fuga. Riuscì a riconoscere alcune parole spezzate in quel sussurro leggero - Viaggio. - in quel sibilo in cui sembrava riecheggiare una sapienza antica, una profondità ancestrale di cui avvertiva la forza incredibile lungo la colonna vertebrale, nello stomaco che si stringeva consapevole della straordinarietà dell’evento a cui stava partecipando. Casa. I vocaboli si districavano dall’intreccio con il vento leggero, accarezzandole l’udito di sfuggita, come se volessero essere percepiti ma senza farsi catturare.
    Libertà.

    La brezza aumentò inaspettatamente d’intensità, sollevando la madreperla lunare in un turbinio niveo che celò momentaneamente il paesaggio lunare alla vista delle entità e degli Indicibili, per poi acquietarsi e rivelare un nuovo orizzonte, una nuova prospettiva. L’Universo sconfinato si aprì davanti agli occhi spalancati di Jane, il brivido dell’ignoto pronto ad alimentare la fiamma della sua curiosità mentre osservava i pianeti e le galassie muoversi impercettibilmente nel mare oscuro senza apparenti limiti.
    Era ciò che cercavano le entità, dunque? Una nuova casa, la libertà dal passato pieno di pesanti ricordi, la possibilità di iniziare un nuovo viaggio e di brillare ancora?
    Tornò con lo sguardo verso lo scienziato, cogliendo un apparente desiderio di pace nei suoi occhi vagamente stanchi che acuirono in lei il desiderio di aiutarlo. Era chiaro però che da sola non ci sarebbe riuscita: agire singolarmente si era rivelata la strategia corretta fino a quel momento, ma era giusto ammettere i propri limiti e affidarsi all’aiuto che sapeva solo i suoi colleghi essere in grado di fornirle.

    Avrebbe posato a terra la mela e fatto un respiro profondo, avvicinandosi poi al resto del gruppo di colleghi che si erano riuniti poco distanti da lei: avrebbe osservato con curiosità le loro entità, riconoscendone alcune di sfuggita ma tornando lesta a prestare attenzione alle parole degli altri Indicibili. Avrebbe ascoltato le loro teorie e proposte, annuendo con convinzione e ammirandone la genialità, attendendo il momento più opportuno per poter aggiungere una sfumatura al piano ideato insieme. « Servirà loro una guida, però. » Avrebbe richiamato l’attenzione sul viaggio che le entità stavano per compiere, continuando a parlare cercando di non arrossire – quanto si sentiva in soggezione di certi colleghi! « … per essere certi che arrivino a casa. Ci posso pensare io, che ne dite? »
    Avrebbe atteso cenni d’assenso prima di prendere posizione, e dopo aver osservato le azioni dei compagni, al momento giusto avrebbe alzato la bacchetta. Le entità avevano bisogno di una guida, di una luce che li guidasse nell’oscurità del passato verso un futuro radioso. Verso la pace, la possibilità di redenzione.
    Isaac Newton sarebbe riuscito a non perdere le tanto preziose amicizie?

    Si sarebbe voltata verso l’entità spettrale prima di dedicarsi all’incantesimo, osservando lo scienziato con uno sguardo speranzoso. « Sono certa che le vostre grandi doti di alchimista riusciranno a curare il vostro albero di mele preferito. » Un cenno di saluto, il cuore improvvisamente conscio della riconoscenza che provava verso l’entità per la straordinaria sfida che le aveva permesso di affrontare. « Vi auguro di trovare la pace, Sir Newton. » Avrebbe sussurrato quelle parole d’addio sottovoce, sperando che solo lo scienziato le cogliesse.
    Quando fosse giunto il momento del suo incanto, avrebbe alzato la bacchetta davanti a sé, chiudendo gli occhi per un istante. Conosceva perfettamente la guida migliore per le entità, ma era consapevole anche di quello che serviva per richiamarla. Un ricordo felice. Con un respiro profondo avrebbe tentato di allontanare il mantello di buio che l’aveva avvolta negli ultimi mesi, cercando di ricordare la figura di quella scia luminosa che avrebbe dato vita alle ali leggere capaci di proteggerla.

    Scintillava vivido alla luce del sole, riscaldato appena dai raggi estivi che si erano fatti capolino tra le rade nuvole. Un’ultima passata di lucido ed era tornato finalmente al suo antico splendore, pronto per scendere in campo: Jane accennò un sorriso osservando il lavoro ultimato, mentre sentiva crescere dentro di sé una sensazione che le era sempre sembrata impossibile da dimenticare, ma che per qualche strana ragione era finita seppellita tra gli strati del passato.

    « Jane, ti dai una mossa? Stiamo aspettando tutti te! »

    Una voce dall’alto la ridestò dai suoi pensieri, squillante e impaziente solo come la sua proprietaria sapeva essere: si voltò e alzò lo sguardo verso il cielo, dove Isabel galleggiava a mezz’aria insieme al resto della compagnia. Si assicurò che la cugina vedesse bene la sua espressione scocciata, poi le fece una smorfia prima di allungare la mano e afferrare la scopa a cui aveva dedicato la sua attenzione più completa negli ultimi istanti. Sentiva il legno sotto la pelle, solido e rassicurante: fece scivolare il pollice sopra una scanalatura guadagnata durante una delle sue prime partite di Quidditch, un gesto abituale che con il tempo aveva assunto una connotazione quasi scaramantica, poi con un movimento fluido montò sulla scopa. Una spinta dei piedi, leggera ma decisa, e la magia prese vita. Nulla come la prima lezione di volo le aveva fatto capire di essere una strega e che la magia era reale, viva e pronta a meravigliarla giorno dopo giorno, scoperta dopo scoperta. I primi incantesimi erano stati interessanti, l’arte delle pozioni affascinante, ma il volo non aveva mai trovato validi rivali nel corso degli anni.

    Si chinò sul manico della scopa, stringendo la presa sul legno e prese velocità: diede una spinta leggera alla spalla della cugina quando le passò accanto, ridendo, modificando poi la direzione del volo verso l’alto, verso il cielo che sembrava attendere di essere esplorato proprio come il cortile del castello quando aveva undici anni. Una volta che ebbe posto una distanza sufficiente tra lei e il resto della compagnia si fermò, sospesa, e chiuse gli occhi: una leggera brezza estiva le solleticò il collo mentre faceva un respiro profondo, quasi un invito a giocare con lei invece che con il gruppo che attendeva un paio di metri più sotto. Di nuovo bambina, sentì il desiderio di seguirla e sfidarla, di esplorare insieme il mondo che da lassù sembrava pronto a mostrarle i suoi segreti: sentiva che anche la scopa voleva partire, accompagnarla, darle il suo supporto con un leggero fremito. Era sul punto di assecondare l’istinto quando il fischio ben conosciuto di un Bolide le fece aprire gli occhi di scatto, costringendola ad uno scatto di lato per evitare di essere colpita.

    « JANE! Muoviti! »


    Un leggero sorriso le avrebbe piegato le labbra mentre apriva gli occhi, la gioia ad illuminarle il volto mentre la mente rievocava quella partita di Quidditch improvvisata l’estate precedente. Avrebbe compiuto un giro semicircolare in senso orario con il polso, prima di pronunciare con decisione la formula dell’incanto. « Expecto Patronum! »
    Se tutto fosse andato secondo i piani, le ali argentate di una libellula avrebbero illuminato il volto della ragazza, volteggiandole intorno un paio di volte prima di attendere davanti a lei, sospesa a mezz’aria. « Portali a casa. » Avrebbe mormorato l’ex corvonero, prima di vedere l’insetto volteggiare leggero in direzione della porta.
    Avrebbe lanciato un ultimo sguardo allo scienziato intento ad imitare i gesti delle altre entità, il sorriso ancora fisso sul suo volto, la speranza a mantenerlo vivo. Avrebbe avvertito la certezza di non essere l’unica a desiderare una nuova storia per le entità fumose, una nuova strada da percorrere per scrivere un altro capitolo della loro vita, e forse infine, ritrovare il senno apparentemente perduto.

    Altri in amar lo [il senno] perde, altri in onori, | altri in cercar, scorrendo il mar, richezze; | altri ne le speranze de’ signori, | altri dietro alle magiche sciocchezze; | altri in gemme, altri in opre di pittori, | et altri in altro che piú d’altro aprezze.
    Orlando Furioso, L. Ariosto (XXXIV, 85)


    // Azioni ed interazioni concordate


    Edited by jane` - 30/3/2022, 11:03
     
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    Il proposito di non toccare nemmeno un goccio di alcol durante il mese di gennaio era stato particolarmente difficile da mantenere, eppure ce l’aveva fatta: Reginaldo aveva festeggiato il primo febbraio tra gli applausi del circolo ed era tornato al suo trespolo tutto contento. Eppure, febbraio era un altro mese… e uno strano cestino di vimini a forma di cuore, dipinto di rosso, lo stava attendendo tra la paglia alla base del suo nido. Lo aveva osservato curioso per qualche istante, cercando un biglietto, ma non appena aveva individuato il contenuto aveva lasciato perdere la sua ricerca ed era passato alla fase scartare i regali ricevuti. Una bottiglia del migliore spumante gufico svettava tra i fogli di velina rosa confetto, insieme ad una selezione speciale di confetti alcolici e quelle che apparivano in tutto e per tutto ad alcune bottiglie delle creazioni alcoliche di Chef Gautier per il recente evento al San Mungo. Ma chi mai aveva potuto fare un regalo così meraviglioso a Reginaldo? Doveva scoprirlo… Sfortunatamente, prima di iniziare le indagini aveva deciso di stappare lo spumante – giusto per continuare i festeggiamenti – e fu così che le grida della nuova stagista la mattina seguente furono la sua sveglia. Erroneamente aveva pensato che il gufo avesse lasciato le penne in seguito ad un assaggio troppo consistente, ma in realtà era tutto perfettamente nella norma: senza tanti complimenti il responsabile della guferia, accorso per vedere cosa fosse accaduto, aveva legato tre copie del giornale alla zampa di Reginaldo e lo aveva accompagnato fuori dalla finestra. Il viaggio verso il castello fu come un terribile sogno, e sbaglio ben due volte il dormitorio prima di trovare la finestra giusta. Esausto per il lungo viaggio, ma soprattutto con i postumi dalla sera prima, Reginaldo crollò su uno dei soffici letti all’interno della stanza. Lo avrebbero trovato addormentato profondamente su uno dei cuscini, le tre copie del giornale ancora legate alla sua zampa.


    Edited by jane` - 18/8/2022, 23:14
     
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